Vivere è impossibile. Una poesia di Giacomo Sferlazzo. Performance di Hélène Laetitia Yalon.

 

Vivere è impossibile.

La sabbia vola sparsa nell’aria come piccoli pianeti senza orbita.

Fanno capolinea tra i capelli dei bambini e negli occhi dei gatti alcuni granelli, la vista si sfoca, il mondo si appanna, i contorni delle cose sono tremuli e vaghi e le idee cominciano a diventare ruvide, le lingue sono rotoli di carta vetrata e le unghie chiodi di acciaio, la colonna vertebrale, una corda enorme per ormeggiare bare piene di fiori nel bacino spigoloso di una donna bianca.

Fai presto a vivere che tutti i giorni passeranno come questo, in un attimo, il tempo di rendersi conto che la notte ha preso il sopravvento. Tagliente freddo, cigolio di cerniere arrugginite e il passo lento su una scala di legno ad avvertirci che non c’è tempo per allacciarsi le scarpe, per lavare i piatti, per rifare i letti e combattere la polvere, che provi a inghiottirci la polvere. Il nostro passo avrà un ritmo incomprensibile, nessuno saprà solfeggiarci sopra, i nostri piedi, timpani pieni di reverbero, si accorderanno con il suono degli insetti, rideremo sempre, perché accettiamo anche la notte, accogliamo tutto ma ci piace quasi niente.

Vivere è impossibile.

La schiuma indietreggia spinta da una forza invisibile, tutto questo mistero che fa delle cose quotidiane, giostre per bambini vecchi.

Si alzano le barriere, tutto il resto sembra distante, ma un cerchio è perfetto quando non è completamente chiuso, da dove si esce, si entra, il più delle volte, quello che è dentro è anche fuori, c’è continuità tra le ossa, i nervi, il sangue, i tessuti, la pelle, i peli, l’aria, gli alberi, il cielo, il mare, le stelle i pianeti, il pieno e il vuoto.

Crollerà tutto, quando avremo demolito tutto ciò che ci separa dal tutto.

Le forze che dominano l’universo saranno: carta da pacchi in cui chiuderai tutte le ferite e i rimorsi.

La terra non si può vendere, niente di ciò che hai creduto comprare ti appartiene. Nei solchi umidi i semi e il concime, le radici come capillari di un corpo che aspira a mangiarsi le nuvole con i polpastrelli delle dita, diventare un cielo cupo e poi limpido e non saziarsi mai di niente.

Continuare a ridere.

Giacomo Sferlazzo.

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